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Esempio di fotografia post mortem |
Le fotografie post
mortem, altrimenti conosciute come memento mori, furono una pratica
ampiamente diffusa durante l’epoca vittoriana.
Prima
dell’invenzione del dagherrotipo, avvenuta nel 1839, l’unica via
per tramandare negli anni l’immagine di una persona era quella di
farsi fare un ritratto, ma, poiché ciò era assai dispendioso, erano
poche le persone che potevano permetterselo. Dopo la nascita della
fotografia, la gente iniziò a fotografare i propri cari ormai
spirati, in modo da mantenerne un ricordo indelebile. Essi però,
spesso non si accontentavano di ritrarre il defunto nella tipica
posizione supina, ma addirittura disponevano il corpo in modo che
sembrasse vivo, con gli occhi aperti o come se stesse svolgendo una
qualsiasi azione quotidiana.
Questa pratica andò
diffondendosi anche a causa dell’altissimo tasso di mortalità
infantile presente all’epoca, non di rado, infatti, vediamo
ritratti dei bambini o dei neonati. In molti casi, questa era l’unica
fotografia che li rappresentava.
A livello stilistico, le prime fotografie post mortem raffiguravano
unicamente il viso o il busto del defunto. Dal 1840 al 1860 si soleva
rappresentare il cadavere su un divano, con gli occhi chiusi e la
testa appoggiata ad un cuscino, come se fosse stato addormentato.
Negli anni successivi, il corpo veniva posto solitamente su una
sedia, con gli occhi aperti, e, per rendere le foto ancora più
realistiche, spesso si dipingevano le guance del defunto di un rosa acceso, in modo che sembrasse vivo. Successivamente, invece, le foto
si limitarono a ritrarre il soggetto adagiato nella bara, senza
nemmeno cercare di dare l’illusione di una qualche vitalità.
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