giovedì 27 giugno 2013

Arthur Schopenhauer: il pessimismo

Arthur Schopenhauer
Il tema della morte è stato oggetto di studio da parte di numerosi filosofi, tra cui, tra i più pessimisti, troviamo Arthur Schopenhauer.

Secondo Schopenhauer la vita è dolore per essenza. Egli afferma che la natura di ogni uomo è dominata dalla volontà e che il volere significa desiderare. Il desiderio implica uno stato di perenne tensione, in cui l’uomo desidera qualcosa che non ha. La tensione è quindi paragonabile al dolore, che pervade l’esistenza dell’individuo. Esso inoltre, è, tra tutte le creature, quella che soffre maggiormente, poiché, essendo dotato di ragione, è consapevole della tragicità della sua condizione.
Il piacere o godimento è invece uno stato temporaneo, effimero. Il filosofo vede infatti il piacere solamente come un intervallo tra vari dolori; proprio per questo si crea un rapporto di stretta dipendenza: se non provassimo sofferenza non potremmo nemmeno provare piacere. Un altro stato conseguente è la noia. La noia si raggiunge quando si riesce a soddisfare un desiderio: inizialmente subentra il piacere, ma in seguito l’individuo perde interesse per la sua conquista, lasciando subentrare la noia.
Per questo Schopenhauer paragona la vita a un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, stati intervallati da brevi momenti di piacere.

Tutto soffre. Soffrono le piante, soffrono gli animali, soffre l’uomo. Come già detto, quest’ultimo è tuttavia la creatura che soffre maggiormente, poiché si rende conto della finitezza e precarietà della propria condizione. Schopenhauer quindi, oltre a vedere il mondo dominato dal male, considera il male stesso il fondamento su cui è costruito il mondo. Oltre alla sofferenza a cui sono obbligati tutti gli esseri viventi, un'altra oggettivazione di questo principio maligno è la lotta incessante tra tutti gli individui. Secondo il filosofo, tutti i rapporti, compresi quelli d’amore, sono basati sul tentativo di reciproca sopraffazione. Gli uomini, infatti, sono riuniti in organizzazioni, come lo stato, semplicemente per bisogno, non per naturale socievolezza.

A risoluzione di ciò, Schopenhauer individua un percorso costituito da tre tappe che l’uomo può seguire per giungere alla liberazione.

La prima tappa è costituita dall’arte. L’arte viene vista come la rappresentazione disinteressata delle idee, ovvero i modelli, gli archetipi, secondo cui la volontà si oggettiva. Grazie all’arte, l’uomo contempla la vita, s’innalza al di sopra del dolore, della volontà e del tempo. Tuttavia questa liberazione non è definitiva. L’uomo con l’arte, più che trovare una via per uscire dalla vita, trova semplicemente un conforto ad essa.
La seconda tappa è costituita dalla morale. La morale è un momento positivo, poiché implica il fare del bene verso al prossimo. L’individuo cerca di superare l’egoismo proprio della sua natura e nasce in lui il sentimento di pietà: l’uomo sente come proprie le sofferenze altrui, giunge alla conclusione che, anche se sottoposti a forme di dolore differenti, gli uomini formano un’unica realtà.
L’ultima tappa è costituita dall’ascesi. L’ascesi è l’unico atto di libertà possibile all’uomo e si raggiunge liberandosi dalla volontà di vivere. Con questo Schopenhauer non vuole spingere l’uomo al suicidio, anzi, egli è assolutamente contrario in quanto vede nel suicidio non la liberazione dalla volontà, ma l’affermazione di una volontà molto forte. Con la liberazione dalla volontà di vivere l’individuo si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere.

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