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Arthur Schopenhauer |
Secondo Schopenhauer la vita è dolore per essenza. Egli afferma che la natura di ogni uomo è dominata dalla volontà e che il volere significa desiderare. Il desiderio implica uno stato di perenne tensione, in cui l’uomo desidera qualcosa che non ha. La tensione è quindi paragonabile al dolore, che pervade l’esistenza dell’individuo. Esso inoltre, è, tra tutte le creature, quella che soffre maggiormente, poiché, essendo dotato di ragione, è consapevole della tragicità della sua condizione.
Il piacere o godimento è invece uno stato temporaneo,
effimero. Il filosofo vede infatti il piacere solamente come un intervallo tra vari
dolori; proprio per questo si crea un rapporto di stretta dipendenza: se non
provassimo sofferenza non potremmo nemmeno provare piacere. Un altro stato
conseguente è la noia. La noia si raggiunge quando si riesce a soddisfare un
desiderio: inizialmente subentra il piacere, ma in seguito l’individuo perde
interesse per la sua conquista, lasciando subentrare la noia.
Per questo Schopenhauer paragona la vita a un pendolo che
oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, stati intervallati da brevi
momenti di piacere.
Tutto soffre. Soffrono le piante, soffrono gli animali,
soffre l’uomo. Come già detto, quest’ultimo è tuttavia la creatura che soffre
maggiormente, poiché si rende conto della finitezza e precarietà della propria
condizione. Schopenhauer quindi, oltre a vedere il mondo dominato dal male,
considera il male stesso il fondamento su cui è costruito il mondo. Oltre alla
sofferenza a cui sono obbligati tutti gli esseri viventi, un'altra
oggettivazione di questo principio maligno è la lotta incessante tra tutti gli
individui. Secondo il filosofo, tutti i rapporti, compresi quelli d’amore, sono
basati sul tentativo di reciproca sopraffazione. Gli uomini, infatti, sono
riuniti in organizzazioni, come lo stato, semplicemente per bisogno, non per
naturale socievolezza.
A risoluzione di ciò, Schopenhauer individua un percorso costituito da
tre tappe che l’uomo può seguire per giungere alla liberazione.
La prima tappa è costituita dall’arte. L’arte viene vista
come la rappresentazione disinteressata delle idee, ovvero i modelli, gli
archetipi, secondo cui la volontà si oggettiva. Grazie all’arte, l’uomo
contempla la vita, s’innalza al di sopra del dolore, della volontà e del tempo.
Tuttavia questa liberazione non è definitiva. L’uomo con l’arte, più che
trovare una via per uscire dalla vita, trova semplicemente un conforto ad essa.
La seconda tappa è costituita dalla morale. La morale è un
momento positivo, poiché implica il fare del bene verso al prossimo. L’individuo
cerca di superare l’egoismo proprio della sua natura e nasce in lui il
sentimento di pietà: l’uomo sente come proprie le sofferenze altrui, giunge
alla conclusione che, anche se sottoposti a forme di dolore differenti, gli
uomini formano un’unica realtà.
L’ultima tappa è costituita dall’ascesi. L’ascesi è l’unico
atto di libertà possibile all’uomo e si raggiunge liberandosi dalla volontà di
vivere. Con questo Schopenhauer non vuole spingere l’uomo al suicidio, anzi,
egli è assolutamente contrario in quanto vede nel suicidio non la liberazione
dalla volontà, ma l’affermazione di una volontà molto forte. Con la liberazione
dalla volontà di vivere l’individuo si propone di estirpare il proprio
desiderio di esistere, di godere e di volere.
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